24 maggio 2004
21 maggio 2004
Vorrei ...
... camminare a piedi nudi sull'erba fresca in un caldo giorno d'estate.
... passare la giornata leggendo, passeggiando, fotografando, chiaccherando.
... vivere la mia vita senza dover correre.
... viaggiare senza pensare alla meta, ma solo al viaggio, assaporarando ogni metro della strada percorsa.
Ma il tempo fugge veloce, mi giro e sono passati 30 anni.
18 febbraio 2004
LA SPOSA SERENA
Inviato al concorso "Cioccolato... passione", ma non è stato selezionato.
A me è piaciuto scriverlo e quindi lo pubblico qui.
Il tema era il cioccolato, a partire da un brano di Dacia Maraini. Riporto l'incipit e il mio pezzo.
Una mano bianca dalle dita lisce e rotondette è sospesa, incerta, sopra un vassoietto di cartone stipato di cioccolatini. Quale scegliere? la conchiglia bianca che sembra approdata dai mari del sud, o la rosa in boccio scolpita nel cacao o la stella scurissima dalle punte gonfie di crema, oppure il bauletto bronzeo su cui spicca un chicco di caffè? Infine la mano plana lentamente sul vassoietto come fosse una colomba e afferra delicatamente nel becco delle due dita strette ad artiglio, la stella corvina. Se la porta lentamente sulla lingua che è tutta tesa e sporgente come quella di una bimba pronta a ricevere l'ostia. La bocca si richiude beata, schiacciando la pasta profumata contro il palato.
In quel momento si sente una voce che chiama: "Serena! sei ancora qui? lo sposo ti aspetta davanti alla chiesa, tuo padre è giù che ti attende con la portiera della macchina aperta."
Serena ascolta le parole che sembrano provenire dalla sua bocca piena di cioccolata: "Vengo subito, arrivo"! Ma non è la sua voce, si dice, c'è qualcosa in essa che non le appartiene.
Le dita, furtive, si abbassano ancora una volta su quei cioccolatini che splendono di una luce scura e promettente. Afferrano la conchiglia di cioccolato bianco e la posano con calma sulla lingua. Poi è la volta del bauletto scuro sormontato dal chicco bruno che scivola fra i denti e si squaglia liberando un delizioso aroma di caffè tostato.
"Serena"! gridano da fuori.
"Vengo"!
Le dita sporche di cioccolata si strofinano sull'ampia gonna di organza bianca lasciandovi due tracce scure. La giovane sposa fa un passo verso la porta. Ma poi si ferma, torna indietro e con dita tranquille continua a pescare nel vassoietto, tirando su ora una foglia di quercia color oro bruciato, ora una spiga di grano dal profumo squisito, ora un pesciolino dal colore tenebroso di una notte senza luna.
Dacia Maraini
Da fuori, attraverso la finestra aperta, arriva il rumore di portiere sbattute e voci concitate: “Ma che fa?” “sempre la solita ritardataria” “ora salgo a vedere”. Quest’ultima voce, maschile, fa trasalire Serena.
I passi di suo padre risuonano sulle scale, Serena s’infila in bocca gli ultimi quattro cioccolatini rimasti sul vassoio, due alla volta: se il padre avesse un maggiore senso dell’umorismo riderebbe sicuramente alla vista di quella bella ragazza formosa vestita da bomboniera, con la bocca piena, le labbra e le dita sporche di cioccolato. Il padre di Serena, però, non ha il senso dell’umorismo e la prima cosa di cui si accorge sono le tracce scure sul vestito.
Alla vista del padre la ragazza rimane immobile, le mani lungo i fianchi, la bocca ancora impastata di cioccolato, indecisa se deglutire tutto di un colpo o tentare di masticare gli ultimi cioccolatini.
“Pazza scellerata” urla il padre e la afferra per una mano, tirandola verso l’uscita. Serena si lascia trascinare e intanto mastica lentamente, assaporando il cioccolato che ha ancora il bocca. Scende le scale e vede, come da lontano, attraverso occhi che non sono i suoi, il padre che la trascina e la madre, inorridita per le macchie sul vestito. La madre sposta i veli cercando di coprire le macchie, ma Serena non l’ascolta, la sua mente non è lì con loro.
Serena sale sulla lussuosa limousine presa a prestito dal padre nella ditta dove lavora e guarda dal finestrino il paesaggio: gli alberi e i campi scorrono veloci, la strada grigia passa tra case e capannoni. Serena chiude gli occhi e deglutisce: ancora sapore di cioccolato. E’ su un treno che corre parallelo a un ampio fiume, non ci sono altri passeggeri e Serena è felice, perché presto arriverà alla meta.
Davanti alla chiesa una piccola folla aspetta l’arrivo della sposa.
La sposa scende e porge il braccio al padre, ancora imbronciato.
Gli invitati entrano e prendono posto. L’organo attacca una melodia stonata e finalmente la sposa entra in chiesa.
Serena abbassa gli occhi quando suo padre la lascia davanti all’altare, lo sposo sorride.
Serena non pensa a cosa sta facendo, ha ancora in bocca il sapore del cioccolato, dolce, caldo, soffice. La sua mente vaga, lontano dalla chiesa, in un bosco verde e oro, ai limiti dell’autunno. I suoi piedi scalzi calpestano le foglie appena cadute, il sole filtra tra i rami e le accarezza la candida pelle.
Serena sta bene, respira l’aria che profuma di corteccia, funghi e incenso.
Incenso?
Serena ritorna alla realtà, il prete con un sorriso la guarda: “E tu Serena vuoi prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Marco e restare fedele a lui nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia e sorridere alla vita finché morte non vi separi?”
Serena parla, ma ancora si accorge che non è la sua voce, qualcosa non le appartiene: “Sì, lo voglio”. Tutto accade come in un sogno, come se non fosse veramente lì. Lo sposo la bacia, ma non sono le sue labbra, non è la sua pelle, è come se sentisse attraverso il corpo di qualcun altro.
Il riso piove sui due sposi, Serena si passa la lingua sui denti, ancora cioccolato, dolce, cremoso, inebriante. Ora è in riva al mare, su un’alta scogliera e respira la salsedine. Le onde s’infrangono con fragore e riempiono l’aria di goccioline e arcobaleni. I gabbiani gridano nel sole e nel vento, gridano la loro libertà e gioia di vivere. Serena allarga le braccia, alza il viso e si lascia inondare dal sole. Sta bene, è felice.
“Congratulazioni – sei bellissima – dove andate in luna di miele?” Serena sente le voci lontane, oltre il mare spumeggiante, oltre le grida dei gabbiani. Sente quella voce che non le appartiene rispondere, con gentilezza e cortesia, come le hanno insegnato, sente la voce profonda e garbata di Marco, il suo sposo. Davanti a lei ancora il mare, invitante. Serena all’improvviso spicca un salto e si lascia inghiottire dal blu. L’acqua l’avvolge, fresca, salata e le entra nello stomaco, nei polmoni.
La stanza d’ospedale è fresca e buia. Le macchine ticchettano, pulsano e sibilano. Marco tiene la mano di Serena, distesa sul letto, immobile, quasi sorridente. Da fuori giungono voci sommesse: “Che disgrazia – proprio il giorno delle nozze – ma se stava così bene”.
Un medico esile e dall’aria stanca entra, controlla i monitor e annuisce con espressione triste.
“Mi dica, dottore, si riprenderà?” chiede ansioso Marco.
“Purtroppo la situazione è molto grave” spiega il medico “è come se sua moglie non fosse più con noi, il corpo funziona, vede, respira senza aiuto, il cuore batte, ma la mente è altrove”
Marco piange stringendo la mano della sua sposa, ma Serena non lo sente, ora è finalmente libera.
Serena esce dall’acqua su una piccola spiaggia, si volta verso il mare e pensa a ciò che ha lasciato, a ciò che non le apparteneva. Non prova rimpianto, non è dispiaciuta per Marco: presto quel corpo che non era più suo si alzerà dal letto di quell’ospedale, parlerà con quella voce che ormai le era estranea e dirà tutto ciò che dovrà dire, farà tutto ciò che ci si aspetta che faccia. Sarà una sposa perfetta, cosa che lei non sarebbe mai potuta essere.
In fondo alla spiaggia una serie di scalini scavati nella roccia porta in cima alla scogliera. In alto, oltre agli alberi abbarbicati all’orlo dello strapiombo, si può vedere un esile filo di fumo: ci sono case lassù, chissà se hanno del cioccolato?
15 febbraio 2004
Deserto
finissima ed ocra
e dal Sud
il vento secco e caldo.
Questo mare
di morbide dune
lo copre il silenzio,
pesante sudario.
Ed io sola,
sul monte di sabbia,
penso a chi, forse,
non ho capito,
o forse fraintese
miei gesti o parole
e preferì il silenzio
all'intesa.
Stolta: non savia.
Agisco: non penso.
Del resto vedendo
le palme, il deserto,
ho capito che vivere
è una grande avventura.
Pubblicata nel libro "premio di poesia città di Assago ed. 2008"
10 febbraio 2004
La strada
camminiamo
lungo sentieri accidentati
tra abeti verdi
su strade larghe e piane
tra campi d'oro
a volte soli
a volte altri viaggiatori ci camminano accanto
a volte morbide radure
accolgono i nostri pensieri
stanchi
ogni anno
la strada dietro a noi s'allunga
avanti a noi, altre vette
altre valli nascoste
14 ottobre 2003
20 gennaio 2004
Entropia felina
Dietro le mie spalle un nuovo universo è esploso. È incredibile quanta superficie può essere occupata dal contenuto di due scatole di giochi.
Il gatto osserva impassibile il disastro, dall'alto della sua poltrona si sente superiore a questi piccoli divertimenti del mini umano col quale è costretto a convivere.
Muove leggermente le orecchie e strizza gli occhi gialli quando un urlo lacera l'aria, ma non si scomoda, nemmeno quando un piccolo UFO gli atterra addosso.
Il gatto osserva con attenzione quel coso che si muove sul pavimento, alto meno di un metro. Non lo può inserire nella categoria degli umani, non è nemmeno un suo simile, non fa parte nemmeno della categoria degli oggetti semoventi e fastidiosi tipo aspirapolvere. Decisamente non è un piccione e fa troppo rumore per essere un pesce rosso. Il suo piccolo cervello felino non è ancora riuscito a trovare una giusta collocazione per questo essere che gli ruba spazio vitale.
L'unica cosa di cui è certo, e che non comprende, è che a questo esserino è permesso svuotare intere scatole di oggetti spargendole uniformemente per la casa, mentre a lui, povero e maltrattato gatto, non è permesso trastullarsi con giochini vari nella sua ora preferita, quando tutto è silenzio e il sole dorme dall'altra parte del mondo.
L’entropia aumenta e il gatto osserva.